http://m.youtube.com/watch?v=sUmIiWLoEuo
Ma allora, cosa significa tutto questo teatrino.
Cosa ci stiamo a fare qua, a guardare la pioggia e a battere il tempo con le punte dei piedi. A parlare di Elvis e del boogie, del Glam rock o di Bob Marley e di tutti i concerti a cui siamo stati e a cui vorremmo andare. A cosa serve ridere e pensare che siamo tutti delle gran cazzate con le gambe. Guardiamoci e riconosciamoci, dietro a due occhi, una bocca e un naso, e due guance rosse e calde, due gambe e due braccia che vedi, siamo uguali. Smettiamola di guardare questi bicchieri vuoti pensando di volerne altri. E a che serve allora abbassare gli occhi e stringere i pugni. Tocchiamoci di più senza parlare. Che tanto con le parole, so rovinare tutto. Anche una cheese cake. O una sigaretta. O degli occhiali da sole. O un gommone a forma di drago. E allora a che serve questo spettacolo che non so neanche assaporare, che son brava a lamentarmi. Tocchiamoci. Senza dire niente. Che per un paio di mani non servono vocali, consonanti e sintassi perfetta. Tocchiamoci con i capelli e con le gambe, come se fossimo in moto, aggrappati alla vita prendendola per i fianchi. Ubriachiamoci senza toccare quel vino rosso. Ok, il vino lo beviamo ma giusto un pò e solo perché sarebbe un gran peccato lasciarlo dove sta. Poi balli amo come se fosse la prima volta, come se improvvisamente sapessimo coordinare i nostri arti e tutti i muscoli del corpo, in un ritmo sconosciuto e perfetto. Facciamolo abbracciati come se ci conoscessimo, che io non ho mai ballato abbracciata a nessuno e secondo me, sarebbe una gran figata. Inciampiamo nei nostri piedi e ridiamo di questo. Di quello che è. Di quello che c’è. Di quello che conta. Che conta davvero. Senza tutto il teatrino. Senza il resto che non vale un cazzo, nemmeno un minuto del mio tempo. Respiriamo sincronizzati quasi a perdersi e a chiedersi se il mio è il mio o il tuo e se il tuo è tuo o è mio oppure chiamiamolo nostro, che tanto non farebbe differenza. Pensiamo in grande, parliamo piuttosto di cose non saranno e che non potrebbero essere, di castelli dorati, di farfalle giganti e di tappeti volanti. Inventiamoci un’isola, deserta magari è coloriamola come ci pare, che poi potrei dirti che voglio fare la pittrice e non sarebbe vero ma sarebbe più vero di quello che c’è. E allora scolpiamoci, nella sabbia o nel cemento, io potrei farmi due gambe da urlo e tu due spalle larghe, tanto che ce frega. A me interessano le storie, quelle vere, quelle degli altri, non la filosofia. E Antropologia poi, quella si che è una cazzata. Lo so che c’è gente, ma vorrei davvero, adesso, per favore, essere abbracciata e ballare. La musica non importa. Se non c’è, la invento io.
Chi visse sperando, morì cacando, cara Veronica.